Quando ho iniziato a leggere Il cavaliere d’inverno non mi immaginavo di certo di trovarmi davanti tre libri così corposi. Lo so, a volte sono proprio una sciocca. Mi butto nella lettura dei romanzi senza preoccuparmi di sapere se sono delle serie e di come sono composte. Quindi quando ho visto fisicamente i tre libri, beh! Mi sono presa un po’ male. Diciamo anche che il primo volume (volume in tutti i sensi) l’ho letteralmente divorato. Col secondo, invece, non mi è andata così bene.
Camminiamo soli, in questo mondo, ma se siamo
fortunati c’è un momento in cui apparteniamo a qualcosa, a qualcuno, un momento
che ci sostiene lungo una vita di solitudine.
Il
primo romanzo (SPOILER ALERT) si è chiuso con l’arrivo di Tatiana negli Stati
Uniti. Nonostante le mille peripezie che ha trovato lungo il suo cammino, alla
fine ce l’ha fatta. Alexander sapeva che Tatiana non l’avrebbe mai abbandonato
in Russia e, per questo, si è finto morto. Ha preferito “sacrificarsi” per lei
pur di saperla al sicuro dall’altra parte del mondo. Alexander sa anche che i
suoi giorni sono contati. L’NKVD è letteralmente fuori dalla sua porta che sta
aspettando di poterlo prelevare dall’ospedale in cui si trova per interrogarlo.
D’altra
parte Tatiana è a Ellis Island e dalla sua stanzetta con le pareti bianche non
vuole muoversi. Lì si sente al sicuro. Può tenere d’occhio gli arrivi delle
navi dall’Europa, può aiutare i feriti che sono ricoverati nel piccolo ospedale
e può crescere suo figlio Antony tenendolo costantemente d’occhio. Tatiana ha
bisogno di tempo per assorbire la notizia della morte di Alexander. In cuor suo
sa, e non vuole credere, che lui effettivamente non ci sia piĂą. Le sue giornate
sono scandite da un ritmo costante e rassicurante e grazie a questa routine
inizia a fare amicizia con i medici e le infermiere di Ellis Island. Alexander
è un bambino tranquillo che ben si adatta allo stile di vita praticamente
monastico della madre. Solo quando nello zaino che ha portato con sé dalla
Russia trova la medaglia al valore di Alexander si rende conto che qualcosa non
torna. Perché quella medaglia era nascosta nella taschina più piccola dello
zaino? PerchĂ© non l’ha trovata prima? PerchĂ© non l’hanno lasciata ad Alexander
quando è morto?
La
guerra in Europa ormai è finita. I soldati stanno tornando a casa dal fronte.
Ma di soldati russi, negli Stati Uniti, non ne arrivano. Tatiana è sempre più
convinta che il suo Alexander sia ancora vivo. Ma come può lasciare Antony in
America e tornare in una Europa distrutta a cercare un uomo che forse non
esiste più? E come fare a trovarlo? Può mettere a repentaglio la sua vita per
trovare l’uomo che ama?
Tatiana era sopravvissuta alla fame, aveva
attraversato il Volga tra le tormente di neve, era entrata nella tenda di
Alexander per mostrargli che nella sua vita c’era qualcosa di duraturo. C’era
un filo che non poteva essere spezzato dalla morte, dal tempo, dalla distanza,
dal dolore, dalla guerra o dal comunismo. Non si poteva spezzare, gli diceva
Tatiana. Finché io sarò viva, anche tu lo sarai, soldato.
Leggere
Tatiana & Alexander è stato in parte
molto bello e, in parte, molto difficile. Difficile perché ci sono circa
duecento pagine che riprendono e ripetono parte del primo libro della serie. E
su un libro di quasi settecento pagine stiamo parlando di una bella fetta.
Certamente sono i fatti visti dal punto di vista di Alexander ma comunque, a
mio parere, non hanno aggiunto nulla di piĂą alla storia che giĂ conoscevamo.
Molto bello perché Paullina Simons ha la capacità di coinvolgerti nella narrazione. Di
trascinarti. Di farti percepire il cuore spezzato di Tatiana. Di farti capire
le difficoltĂ che hanno dovuto sostenere entrambi i protagonisti, su fronti
diversi e opposti, ma comunque accomunati dall’amore folle e totale che provano
l’uno per l’altro.
“I sovietici vinceranno questa guerra. E lo sai
perchĂ©?”
“PerchĂ©?”
“PerchĂ© non danno alcun valore alla vita dei loro
uomini.”
Quando
si parla di seconda guerra mondiale non si pensa ad altri popoli se non a
quello tedesco. Di libri che parlano di seconda guerra mondiale o che sono
ambientati in quel periodo storico ne ho letti davvero tanti, ma nessuno di
questi si svolgeva in Russia. Quello che mi ha maggiormente stupito di questo
romanzo, e in parte anche del precedente, è la descrizione della cattiveria e
crudeltĂ del governo russo nei confronti dei suoi abitanti e dei suoi soldati.
Gli abitanti di Leningrado, durante i novecento giorni di assedio da parte dei
tedeschi, morivano letteralmente di fame e di freddo. Non avevano cibo e non
avevano elettricitĂ . Dovevano sopravvivere con duecento grammi di pane a testa.
Pane fatto con cartone e segatura. Pane che potevano ritirare solo stando in
coda delle ore sotto le bombe nemiche. Ma la cosa peggiore succedeva ai soldati
che combattevano al fronte, in prima linea. Se rimanevano isolati dal resto
delle truppe non potevano arrendersi, dovevano combattere fino alla morte. E
non potevano nemmeno tornare indietro ed aspettare eventuali rinforzi perché
venivano considerati disertori e quindi puniti, a volte anche con la morte.
Scappare dalla Russia era praticamente impossibile, soprattutto perché. se
l’NKVD ti trovava e ti riportava indietro, il meglio che potesse capitarti erano
quindici anni a Kolyma, in Siberia, nei campi di lavoro.
“C’Ă© una cosa che l’Armata Rossa ha sottovalutato,
tenente.”
“E cioè, signore?”
“Io”, rispose Alexander, “non ho alcuna intenzione di
morire.”
Ora mi
manca solo l’ultimo dei tre capitoli. RiuscirĂ , la Simons, a riconquistarmi?
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