Il diritto di opporsi, Bryan Stevenson

Spesso, quando mi si propone un libro, leggo velocemente la trama ma non approfondisco più di tanto, mi lascio trasportare dalle sensazioni. Anche questa volta, con questo RP, ĆØ successa la stessa cosa. E mi sono travata tra le mani, per l’ennesima volta, un libro che vale davvero la pena leggere.

Ognuno di noi ĆØ ben più dell’atto peggiore che possiamo aver commesso.

Bryan Stevenson è un avvocato che ha dedicato la sua vita a cercare di salvare quante più persone dal braccio della morte e da pene troppo severe inflitte a giovani, poco più che bambini, con la prospettiva di passare la propria vita in un carcere senza la possibilità di ridurre, in qualche modo, la loro pena.
Bryan ĆØ capitato alla facoltĆ  di legge ad Harvard quasi per caso. Al college aveva studiato filosofia e solo per entrare a giurisprudenza non venivano richieste specifiche competenze. Ad Harvard aveva la possibilitĆ  di studiare legge e contemporaneamente conseguire una laurea in politiche pubbliche alla Kennedy School of Government, cosa che al momento lo interessava maggiormente. Passato il primo anno si sentiva ancora un pesce fuor d’acqua e si sentiva inferiore ai suoi compagni di corso, che magari avevano giĆ  fatto esperienze lavorative nel settore. La sua unica certezza era che ā€œda grandeā€ avrebbe voluto fare qualcosa per i poveri, per la lotta per l’equitĆ  e le ineguaglianze razziali. Per pura fatalitĆ  venne a sapere che la facoltĆ  offriva un corso intensivo sui processi a sfondo razziale. Un corso che l’avrebbe portato fuori dal campus, più precisamente ad Atlanta, per trascorrere un mese con un’organizzazione che si occupava di giustizia sociale, il Comitato per la difesa dei detenuti del Sud. Quando firmò l’adesione non si era posto il problema di cosa avrebbe dovuto fare, ma quando lo mandarono ad incontrare un detenuto nel braccio della morte, si sentƬ completamente inadeguato. Cosa avrebbe potuto dire a quel detenuto? 
Ma per quanto Bryan fosse inadeguato alla situazione, Henry aveva solo bisogno di vedere il viso di una persona ā€œamicaā€, di una persona che stesse dalla sua parte e sapere che il comitato stava lavorando sul suo caso. Da quell’incontro Bryan capƬ che voleva aiutare coloro che erano nel braccio della morte o che erano vittime di pene estreme e studiò duramente per farlo.

Abbiamo bisogno di più speranza. Abbiamo bisogno di più pietà. Abbiamo bisogno di più giustizia.

In questo romanzo Bryan parla, oltre che del suo lavoro, anche di tanti suoi clienti. Sicuramente, tra tutti, quello a cui ĆØ rimasto più legato ĆØ Walter McMillian. Walter ĆØ un afroamericano condannato a morte per l’omicidio di una ragazza bianca. A nulla ĆØ servito che lui avesse un alibi e che le prove dimostrassero la sua innocenza. La polizia fece di tutto per far cadere la colpa su di lui e la giuria lo condannò alla pena di morte. Bryan lavora per anni per cercare di far riaprire il suo caso, per fermare l’iter burocratico, per convincere la Corte della sua innocenza. 

Il potere della pietĆ  pura e semplice ĆØ di essere rivolta a chi non la merita. 

Se vi state domandando in che epoca sono successi questi fatti, sappiate che stiamo parlando di pene inflitte dopo gli anni ’80, circa vent’anni dopo la fine del segregazionismo razziale. Ma anni in cui le persone di colore venivano ancora trattate in maniera diversa da quelle bianche. Anni in cui se eri povero e non potevi permetterti un avvocato, le possibilitĆ  di finire in carcere per il resto della vita, erano altissime. Anni in cui ragazzini di dodici, tredici anni, anche per condanne diverse dall’omicidio, venivano condannati come degli adulti, portati in carceri per adulti a scontare un ergastolo senza condizionale.

Morire secondo i piani di un tribunale o di un carcere non ĆØ giusto. La gente dovrebbe morire secondo i piani di Dio.

Leggere questo romanzo non ĆØ stato affatto facile. Fa riflettere, pensare. Fino a ieri ho pensato, giusto o sbagliato che sia, che se una persona ĆØ nel braccio della morte o deve scontare una condanna molto lunga, probabilmente ĆØ perchĆ© ā€œse lo meritaā€. PerchĆ© ha fatto qualcosa di molto grave. Qualcosa di irrimediabile. Non mi sono mai posta il problema di cosa ci sia dietro ad una condanna simile. Quale sia il passato di questa persona, in quali condizioni ha vissuto, se ha dei deficit mentali o cognitivi e che cosa lo ha portato a fare quel che ha fatto. Negli Stati Uniti, per anni, si ĆØ adottato la politica delle pene estreme, facendo aumentare il business delle carceri senza pensare al benessere del condannato, negando loro, a volte, anche le cure più elementari. Più volte in questo libro ho letto di familiari delle vittime, o vittime stesse, che non volevano porre rimedio alla violenza subita con altra violenza e che sono riusciti a perdonare coloro che hanno causato tanto dolore.
Spesso durante la lettura mi sono trovata con le lacrime agli occhi al pensiero di quante persone hanno dovuto subire delle pene esagerate. Quante persone disabili hanno passato anni in carcere senza avere l’accesso a cure mirate ai loro problemi. Quanti ragazzini hanno dovuto subire soprusi e aggressioni in carceri non adatte a loro.
Se da una parte mi sono immensamente indignata contro un sistema sbagliato, dall’altra parte ho apprezzato immensamente l’impegno di persone come Bryan. Persone che hanno dato la propria vita per cercare di aiutare i più deboli, i più bisognosi. Persone che non solo hanno dato tanto agli altri ma che, nonostante il dolore, sono riuscite ad avere in cambio affetto e infinita riconoscenza.

Quando si prova pietĆ , si imparano cose che diversamente ĆØ difficile apprendere. Si vedono cose altrimenti impossibili da notare; si ascoltano cose che, diversamente, non si riescono a sentire. Si inizia a riconoscere l’umanitĆ  che risiede in ciascuno di noi.

Elle

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