
Qualunque cosa succedesse nel mondo, e per quanto il
pericolo potesse essere vicino, la vita andava avanti, e cosa si poteva fare se
non viverla?
Gustav Kleinmann è un ebreo che vive con la famiglia a
Vienna. Ha combattuto per la propria nazione durante la prima guerra mondiale
ed è stato anche insignito di medaglie al valore, ma verso la fine degli anni
’30 l’essere stato un valoroso soldato e l’essere un bravo cittadino non è
sufficiente. Se sei di religione ebraica, sei in serio pericolo. Siamo nel 1938
e l’Austria è appena stata annessa alla Germania.
Ciascuno di loro era un individuo con una madre, una
moglie, figli, cugini, una professione, un ruolo nella vita di Vienna. Ma, per
gli uomini in uniforme davanti al vagone, soltanto bestiame.
Gustav e Tini si considerano più austriaci che ebrei e
non sono molto praticanti ma questo non è sufficiente per tenerli al sicuro. Hanno quattro figli: Edith, Herta, Fritz e
Kurt.
Edith è ormai adulta e il regime le sta decisamente
stretto. Nonostante le difficoltà burocratiche, approfittando della possibilità
di emigrare, decide di provare a cercare lavoro in Inghilterra, dove si
trasferisce quando una coppia ebrea residente a Leeds la assume.
Herta è maggiorenne e a Vienna non ha alcuna
opportunità. Tini spera di riuscire a farla emigrare in America ma le
lungaggini burocratiche e l’esorbitante costo per avere tutti i documenti
necessari sono un ostacolo insormontabile.
Kurt ha solo dieci anni e la madre è preoccupata per
lui. Ha un carattere molto impulsivo e Tini ha paura che, prima o poi, si possa
cacciare seriamente nei guai. Fortunatamente, solo nel 1941, grazie ad un’amica
emigrata in Massachusetts, riesce ad ottenere un affidavit da un giudice
disposto ad ospitarlo in casa propria. Per Kurt si apre un nuovo capitolo della
sua vita in cui si sentirà al sicuro dall’altra parte del mondo.
Il nazismo non poteva essere più grande di quanto un
attore borioso con una corona di cartone dorato potesse essere re.
Fritz, poco più che adolescente, viene arrestato dai
nazisti insieme al padre nel 1939 e insieme vengono deportati nel campo di
concentramento di Buchenwald. Qui inizia il loro calvario. Un calvario fatto di
speranza di uscire dal campo quanto prima, di sostegno morale, di aiuto tra
prigionieri e di forza. A Buchenwald vengono schiavizzati, picchiati, sfruttati
fino allo sfinimento. Viene loro tolta la dignità di uomini. Vengono vessati
dalle SS e dai kapò. Ma grazie all’amore che li lega riescono a farsi
forza, a sopravvivere, a trovare una ragione per andare avanti giorno dopo
giorno. Grazie anche al buon cuore di alcuni detenuti che hanno più “privilegi”,
padre e figlio riescono a raggiungere una posizione tale che gli permette di
sopravvivere decentemente. Riescono a svolgere un lavoro non troppo pesante e non
troppo pericoloso, a diventare quasi “indispensabili” costruendo lo stesso
campo in cui sono reclusi. Questa parentesi dura finché Gustav non viene scelto
per essere spostato ad Auschwitz. Fritz potrebbe avere più possibilità di
sopravvivenza se dovesse rimanere a Buchenwald, ma non vuole lasciare il padre
e quindi decide di seguirlo e di farsi trasferire anche lui. Decide di andare
incontro ad una morte quasi certa pur di stargli accanto, pur di dargli una
motivazione in più per tenere duro e non lasciarsi completamente andare.
Tieni la testa alta; arriverà il giorno in cui sarai
libero.
Questo libro è la vera storia della famiglia Kleinmann.
L’autore si è basato sul diario che Gustav è riuscito segretamente a tenere
durante i sette lunghissimi anni di prigionia. È una ricostruzione particolareggiata
di quanto accaduto in quei terribili anni. Anni di terrore e di paura. Anni
passati a vivere giorno per giorno, a non aspettarsi nulla dal domani. Passati
a cercare di aggrapparsi con le unghie e con i denti a quel filo sottile che li
ha tenuti in vita. Che li ha costretti a tener duro davanti alla fame, al
freddo, alla malattia, alla paura, al dolore e alla sfortuna. Anni passati con
la consapevolezza che al peggio non c’è mai fine. Che la vita di un ebreo, di
un prigioniero politico o di un omosessuale non vale niente. Anni passati a
farsi forza l’un l’altro, a sostenersi, ad aiutarsi. Durante la prigionia hanno
conosciuto persone che, nonostante non avessero nulla, hanno condiviso con loro
quel poco che avevano. Hanno sfruttato i loro “privilegi” praticamente
inesistenti pur di aiutare gli altri a sopportare le lunghe e dure giornate di
lavoro. Hanno messo in pericolo la propria vita pur di far uscire qualcuno da
quell’incubo.
Occorreva molta forza d’animo per condividere e amare
in un mondo in cui l’odio e l’egoismo erano all’ordine del giorno e l’esistenza
non era mai garantita.
Il libro è davvero ben scritto e nonostante racconti le
atrocità realmente commesse dai tedeschi non è troppo crudo. Leggendolo ho imparato
cose che non sapevo e che non avevo mai approfondito. L’unica pecca che ho
trovato è che la narrazione non mi ha coinvolto troppo emotivamente. Da una
parte penso sia una fortuna perché, diversamente, non so se sarei riuscita ad
arrivare alla fine. D’altra parte, però, mi è scivolato addosso senza lasciarmi
dentro quell’angoscia e quell’ansia che mi sarebbe piaciuto provare.
La cosa certa è che libri di questo genere vanno
assolutamente letti per non dimenticare mai quanto accaduto in quei terribili
anni bui, per imparare dagli errori e cercare, per quanto possibile, di non
ripeterli mai più.
Perché, alla fine, lui avrebbe dovuto farcela quando milioni non ce
l’avevano o non ce l’avrebbero fatta?


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