Il problema delle persone è che si
abituano a tutto, anche alle notizie più terribili, e non ci vuole niente a
crearsi una nuova routine.
Costanza Macallè è una mamma single. Tutto il suo mondo gira
intorno alla figlia, Flora, che ha solo tre anni. Lei è laureata in anatomia
patologica ma, nella sua città non ha trovato alcun lavoro e quindi ha deciso
di raggiungere la sorella a Verona. Antonietta le ha trovato un lavoro
temporaneo in università, dove deve svolgere il lavoro di paleopatologa. Non
proprio un lavoro che le confà ma, in mancanza di altro, si deve accontentare.
Il suo sogno è di andare a lavorare in un qualche ospedale inglese ma anche su
quel fronte, nessuna buona nuova. Il suo nuovo lavoro consiste nel trovare e
dissotterrare vecchie ossa, lavarle, trovare tracce di qualche malattia o
cercare bulbi piliferi in trecce centenarie. Non proprio un lavoro
entusiasmante. Anche passare da una città solare come Messina alla nebbiosa e
nuvolosa Verona non è quanto si auspicava nel proprio futuro. Per lei l’inverno
veronese è troppo freddo. Troppo triste. Fortunatamente divide la casa con
Antonietta, a cui è molto legata e con cui ha un buonissimo rapporto. Con lei
riesce a parlare di tutto. Del rapporto con i suoi colleghi, delle sue
aspettative per il futuro, dei suoi dubbi per l’educazione e la gestione di
Flora.
Si dice che l’amore di una madre sia
l’amore assoluto. Io, con Flora, ho capito che è vero. Cosa ne è di noi, quando
quell’amore è perduto?
Flora, la sua bambina. Il suo mondo. Tutta la sua vita ormai
ruota intorno a lei. Tutte le sue scelte sono fatte in funzione della sua
piccolina. Costanza, una volta saputo di essere incinta, non ha mai cercato di
rintracciare il padre della bambina. È stata una sua scelta personale quella di
portare avanti la gravidanza. E da sola ha deciso di crescere la figlia al
meglio. Il fatto che il concepimento sia frutto di un incontro lampo con
relativo “disguido tecnico” non l’ha fermata. Una volta presa la decisione, non
si è più guardata indietro.
Tutto si aggiusta, si aggiusta
sempre.
Costanza è una donna intelligente, che ha sofferto la morte
della madre avvenuta in fase adolescenziale. È spontanea. Se deve dire qualcosa
non si trattiene. Spesso le rimproverano di avere la lingua biforcuta, ma
semplicemente non riesce a trattenersi. Quello che pensa, dice. E se riesce a
trattenersi, le si legge in viso ciò che pensa, ciò che prova. È una donna che
non ha mai avuto problemi a prendersi ciò che vuole, soprattutto l’attenzione
dei ragazzi. Ora che ha una figlia tutto è cambiato anche da questo punto di
vista. Adesso è diventato difficile trovare un uomo che oltre ad amare lei,
accetti il fatto che abbia già una bambina al seguito.
“Mamma, sei felice?”
In Flora ho rivisto molti degli atteggiamenti dei miei figli
quando erano più piccoli. Il capriccio per il vestito che è in lavatrice e che
non può indossare o lo stesso modo di addormentarli. Ma mi sono ritrovata anche
in molti atteggiamenti di mamma Costanza. La sua paura di non fare le cose nel
modo giusto, il sentirsi insicura, l’approcciarsi alla maestra dell’asilo con
timore, con la paura di essere giudicata in base all’atteggiamento del bambino.
Il tempo è una materia fluida. Lo
diceva anche Einstein, il tempo non scorre in una sola direzione, il futuro
esiste contemporaneamente al passato.
È il primo libro di Alessia Gazzola che leggo e, se
all’inizio ero un po’ titubante sul suo modo di scrivere, poi mi sono lasciata
andare e l’ho – per l’ennesima volta – divorato. La sua è una scrittura molto
“raffinata” (passatemi il termine) nel senso che usa parole molto forbite. Ho
trovato le descrizioni relative al lavoro un po’ noiose, un po’ pesanti.
Soprattutto quando vengono inseriti gli stralci di documenti storici che,
perdonatemi, ad un certo punto ho saltato a piè pari. Quando poi la narrazione
è entrata sul vivo, soprattutto dal punto di vista sentimentale, ecco che mi
sono interessata maggiormente. Mi sono ritrovata più in linea con i miei gusti
e, da lì in poi, è andata tutta in discesa. Faccio solo un appunto sul finale.
Io ODIO i finali aperti, quelli così aperti che più aperti non si può. Perché
mi lasciano con l’amaro in bocca. Il non sapere come va realmente a finire la
storia mi manda fuori di testa. Ecco questo è uno di quelli. E io ora mi
ritrovo a sperare in grazia che il sequel di Questione di Costanza esca
quanto prima.
Nessun commento:
Posta un commento