Harem. Le Schiave di Sarnath, Cecile Bertod

Nonostante questo sia un periodo molto particolare, siamo riusciti a ricreare una sottospecie di routine famigliare. Non si fanno più le corse per portare i ragazzi a scuola, alle attività sportive e andare al lavoro, ma tutto è più dilatato. Ormai il tempo è scandito dallo smart working, didattica a distanza e pane fatto in casa. E vi dirò che questa nuova routine non mi dispiace affatto.
Soprattutto perché mi lascia molto più tempo da dedicare alla lettura. In questa fase della mia vita da lettrice mi sono ripromessa di leggere solo autrici italiane e quindi perché non prendere in mano un libro di Cecile Bertod, scrittrice di cui non ho mai letto nulla?

Non si può sovvertire la natura delle cose, si può solo assecondarla.

Vivian ĆØ un medico che vive al limite della legalitĆ  in una delle cittĆ  più povere dell’India, Varanasi. Qui ha “occupato” un edificio fatiscente dove esercita la sua professione cercando di arrabattarsi in qualche modo per recuperare medicinali, disinfettanti e tutto quanto le può servire. In questa avventura non ĆØ da sola, ha dei compagni di viaggio, pazzi quanto lei, che sono diventati la sua famiglia. Una famiglia che non ricorda di aver mai avuto. Del suo passato, di quando era bambina, non ricorda nulla, se non di aver subito un grosso trauma. Ha vissuto in Polonia, nazione che ha deciso di lasciare per intraprendere questa esperienza in India e, da qui, non se ne vuole andare. Per Vivian cercare di salvare più vite possibili ĆØ diventata una missione. ƈ testarda come un mulo, se si mette in testa qualcosa non c’ĆØ verso di farle cambiare idea. Non possiede nulla, se non quei due vestiti che indossa e quel poco che guadagna lavorando part-time in ospedale lo impiega per acquistare sigarette e medicinali per il suo studio. Vivian può rinunciare a tutto, ma non alle sigarette.

Vivian, però, sta scomoda a un po’ di persone. Salvare vite e difendere i più deboli vuol dire anche pestare i calli a qualcuno. Qualcuno che vorrebbe vederla fuori dai giochi. Non solo per la sua posizione, ma anche per il suo passato. Per questo tentano di rapirla e, quando si risveglia, si trova a dover vivere una vita completamente diversa da quella che ha conosciuto fino ad ora. Vivian riapre gli occhi in una stanza del Palazzo del Lago, che sorge sull’isola del lago Pichola e dalle cui finestre si può ammirare la cittĆ  di Udaipur. Qui non ĆØ libera di muoversi come vuole in quanto alla mercĆ© di un uomo che non conosce. ƈ costantemente sotto sorveglianza. Le regole da seguire sono molteplici e lei non vuole rispettarle. Non riesce a capire perchĆ© non ĆØ libera di andarsene, di fare ciò che vuole. Si sente in trappola e più volte tenta di scappare senza riuscirci.
Quello che lega Vivian a quest’uomo senza nome ĆØ un legame che viene da quel passato che non ricorda: un legame forte che, nonostante il tempo e la distanza, non si ĆØ mai affievolito.

“Il posto da cui provieni non ĆØ che un’illusione. Pensate di essere padroni di un destino che non riuscite a controllare. Tu credi che io non abbia voce solo perchĆ© in questo momento non riesci a sentirla, ma se solo volessi aprire gli occhi scopriresti che attorno a te c’ĆØ un mondo che ignori, che ha le sue regole, ma che ĆØ solo grazie a quelle regole se sopravvive.”

Ho preso in mano questo libro con molto entusiasmo. Non so perchĆ©, ma mi aspettavo grandi cose. Invece, fino a quasi un quarto del romanzo, non ci ho capito niente. Non sono riuscita a raccapezzarmi. Troppi nomi, salti temporali. Una volta ingranata la marcia, sono riuscita a seguire bene lo svolgimento della trama ma mi sono scontrata con una serie quasi infinita di refusi ed errori grammaticali. So che probabilmente inizierete a pensare che sono una gran rompiscatole e che mi diverto a sottolineare gli errori neanche fossi la classica maestrina acida, ma vi posso assicurare che non ĆØ affatto cosƬ. Mi fa arrabbiare il fatto che l’occhio, durante la lettura, “inciampi” negli errori. Non ĆØ che li cerco, semplicemente li noto.

A parte gli errori di cui sopra, non posso dire che il libro non sia interessante. Mi ĆØ piaciuto il carattere di Vivian, il suo modo di essere al di sopra di un conformismo che non ĆØ nel suo modo di essere. Mi ĆØ piaciuto anche Koran. Un uomo determinato, che fa fede alle promesse fatte tanti anni prima e che fa di tutto per mantenerle. Però ho trovato dei buchi qua e lĆ  nella trama. Come se ci fosse una storia non completamente spiegata, soprattutto quando si parla dell’harem di Sarnath o dei componenti del consiglio dei dodici. Mi sarebbe piaciuto capirne di più, che venisse spiegato meglio il funzionamento e il significato.

Visto che ormai mi sono cucita addosso da sola il ruolo della maestrina, ecco il mio giudizio. Ho apprezzato l’impegno ma chiedo maggiore attenzione nella rilettura per evitare tanti errori. Voto: sei e mezzo.

“Ogni tuo ricordo ĆØ qui, con me, non ne hai perso nessuno. Li ho conservati perchĆ© sapevo che un giorno avrei potuto restituirteli.”

Elle

Nessun commento:

Posta un commento