Stringimi piano è il primo romanzo di Irene Faranda, edito Dea Planeta. Tra le sue pagine incontriamo Arianna, liceale costretta a letto da una rara malattia che fa sì che le sue ossa siano estremamente fragili, di vetro (la malattia si chiama osteogenesi imperfetta).
A seguito di un incidente d’auto, si ritrova in ricovero presso una clinica privata. A farle compagnia, oltre alle suore, ci sarà Leon, giocatore di pallacanestro, che sta seguendo un percorso riabilitativo dopo un trauma subìto al ginocchio.
Inoltre, a starle vicino, ci sarà anche un quaderno alquanto speciale: il diario scritto da sua madre mentre era in attesa della figlia.
Questo diario sarà fondamentale per noi lettori per capire la malattia “dall’altra parte”, dalla parte di chi sta vicino al malato, di chi non sa come viverla questa condizione, di chi si fa mille domande, cela segreti, vuole e non vuole sentire risposte a domande troppo pesanti e dure.
Attraverso il quaderno Arianna conoscerà realmente sua madre, la vedrà sotto una luce nuova che, a tratti, la metterà in difficoltà.
In Stringimi piano non avremo a che fare soltanto con la fragilità delle ossa di Arianna, ma anche con le fragilità che la vita porta con sé: l’instabilità delle relazioni, le debolezze dello spirito, la scarsa sicurezza che talvolta tiriamo fuori quando ci ritroviamo davanti agli ostacoli.
Devo essere sincera (come sempre, insomma). Questo libro ha messo in difficoltà pure me. Non presenta una vera e propria conclusione: le pagine finiscono, non sappiamo cosa succederà ai suoi personaggi e al tempo stesso il libro “non chiama un altro libro”.
Ma forse è proprio questo il significato che vuole dare la Faranda al suo testo: la vita va avanti a prescindere, anche se un libro viene chiuso, lei continua per la sua strada, non bada a chi la segue o insegue… Bisogna viverla, senza lasciarsi travolgere dagli avvenimenti…
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