Voi non potete immaginare quanto tempo ho dovuto aspettare che questo libro mi arrivasse dalla biblioteca. Ho dovuto aspettare talmente tanto che ad un certo punto mi sono domandata se valesse la pena attendere così tanto per averlo. Posso già darvi un’anticipazione: sì, ne è valsa sicuramente la pena.
Lui aveva chiesto la mia mano. Io invece gli diedi tutto il mio cuore.
Siamo nel Giappone del 1957 e Naoko Nakamura ha quasi diciotto anni. La sua famiglia, che possiede una piccola azienda, ha combinato il suo matrimonio con Satoshi, il figlio del socio di suo padre. Ma Naoko non vuole sposare l’uomo che le impone la famiglia, lei vorrebbe sposare l’uomo di cui si è innamorata, un marine americano. Colui che il Giappone in quegli anni considera uno straniero e che non viene visto di buon occhio. Naoko prova un sentimento profondo nei confronti del suo Hajime e questo sentimento è ricambiato. Per questo prova a insegnargli come si deve presentare alla cerimonia del tè, cerimonia che serve per presentarlo alla sua famiglia. Come si può immaginare la famiglia Nakamura non accetta un marinaio americano come sposo della figlia e la mette di fronte ad una scelta: o sposa Satoshi oppure deve andarsene per sempre. Le cose si complicano ulteriormente quando Naoko scopre di essere incinta.
Il tempo è una creatura inflessibile che si diverte a provocarti. Quando sei felice, spiega le ali e vola. Quando sei in attesa, si trascina nel fango con passo lento e pesante.
In parallelo alla storia del Giappone degli anni ’50 troviamo la storia che si svolge negli Stati Uniti al giorno d’oggi. Tori è una giornalista che si sta prendendo cura del padre ormai gravemente malato. Poco prima di morire il padre le consegna una lettera che, una volta aperta, metterà in dubbio tutto ciò che sapeva della sua famiglia. La curiosità di scoprire la verità è talmente forte che Tori decide di intraprendere un viaggio dall’altra parte del mondo, in un villaggio sulla costa giapponese, alla ricerca del primo amore di suo padre.
Leggere questo libro mi ha aperto un mondo che non conoscevo. Mi sono letteralmente sentita trasportare in un piccolo villaggio lungo la costa giapponese, in una casa tipica con un bellissimo giardino curato. Ho partecipato con la famiglia Nakamura alla cerimonia del tè e ho sofferto in silenzio insieme a Naoko. Come lei mi sono sentita tradita da quella famiglia che avrebbe dovuto proteggerla nel momento di maggior bisogno e che, invece, l’ha abbandonata. Soprattutto mi sono sentita tradita dalla nonna, la donna che avrebbe dovuto coccolarla e che, invece, l’ha pugnalata alle spalle nel peggiore dei modi.
Ho percepito tutte le emozioni di Naoko: la trepidazione di vedere il suo Hajime al ritorno da una missione, la felicità che prova quando è con lui, la paura di dover fare una scelta che segnerà per sempre il suo futuro, il terrore di fare la scelta sbagliata. E poi lo sgomento, la solidarietà , la voglia di lottare per cambiare le cose per sé e per le ragazze che abitano con lei nella Clinica Ostetrica. Ho amato la storia tra Naoko e Hajime, perché è una storia travagliata e difficile, ma ho apprezzato tantissimo anche la figura di Satoshi, un ragazzo che le sta accanto anche nel momento peggiore, che le sta vicino anche quando quella ragazza potrebbe non sceglierlo per preferire qualcun altro. E ho adorato davvero tanto Naoko, la sua forza, la sua testardaggine, la sua volontà di cambiare le cose.
Nonostante il fiato caldo del drago sul collo capisco che quando il cielo lascia cadere un frutto tu devi aprire le mani.
Quello che mi ha fatto riflettere maggiormente, però, è il fatto che questo libro è tratto da una storia vera e, leggendo anche le note dell’autrice ho scoperto che durante gli anni dell’occupazione americana in Giappone da donne giapponesi e uomini americani sono nati la bellezza di oltre diecimila bambini. Questi bambini di sangue misto non hanno sicuramente avuto vita facile e si stima che solo poco più di settecento di loro siano transitati per l’orfanotrofio fondato da Miki Sawada. La percentuale di militari a cui è stato permesso di sposare una donna giapponese è davvero molto bassa e, come se non fosse stato sufficiente superare lo scoglio di avere il permesso, una volta tornati in patria hanno dovuto subire le leggi americane contro le unioni miste. Ma, a quante donne non è stato permesso di seguire l’uomo che amavano? Quante donne hanno dovuto fare scelte inimmaginabili pur di poter sopravvivere in quegli anni senza essere ripudiate dalla famiglia?
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